Medicina Narrativa: un’intervista alla Dottoressa Natalia Piana

La Dottoressa Natalia Piana è una pedagogista e formatrice che da anni lavora con persone con diabete attraverso percorsi e laboratori di Medicina Narrativa.
Le abbiamo fatto qualche domanda, per capire meglio quali importanti risorse ha da offrire la Medicina Narrativa, e la condivisione dell’esperienza di cura e di malattia.

Cosa si intende con “medicina narrativa”?

Natalia Piana risponde così:

“La Medicina Narrativa è quella parte della medicina che – come dice la letteratura – sa riconoscere, ascoltare, comprendere e agire sulle storie dei pazienti – non soltanto per una migliore comprensione del vissuto dell’altro, ma anche per rendere l’intervento clinico e terapeutico più efficace (Rita Charon scrive “per una pratica medica umana ed efficace”).”

La medicina narrativa è quindi una disciplina fondamentale nel percorso di educazione terapeutica che la persona inizia dopo la diagnosi.

Dare le parole adeguate a quello che si è vissuto e si vive, decidere di attribuire rilevanza alle proprie emozioni e sensazioni è un approccio che aiuta a elaborare il passato, soprattutto quando si devono fare i conti con una malattia che non può guarire.

Sul sito della Società Italiana di Medicina Narrativa si legge: “la medicina narrativa non è un insieme di tecniche, piuttosto un cambiamento di approccio alla cura”.

Un approccio esclusivamente tecnico del mondo medico non è sufficiente a comprendere le implicazioni che la diagnosi, e quindi l’esperienza di malattia, hanno nella vita della persona. Accanto alla Evidence-Based-Medicine, la medicina basata sulle evidenze, ovvero sulle prove scientifiche, è necessario affiancare la Narrative-Based-Medicine (NBM). La NBM è proprio la medicina che si basa sulla narrazione dell’esperienza della malattia fatta dalle persone e permette di indagare proprio l’esperienza attraverso il racconto.

Medicina Narrativa e diabete

Il diabete, soprattutto il tipo 1, è una patologia particolare, in cui la terapia viene in qualche modo “delegata” al paziente. È la persona infatti a farsi carico spesso dei dosaggi del farmaco (l’insulina), a seconda delle necessità e di tante e complesse variabili (grammi di carboidrati da ingerire, attività fisica effettuata o prevista, stato della glicemia ecc. ecc.). In questo panorama, è importantissimo che il paziente e il clinico abbiano una relazione stretta e che l’alleanza terapeutica sia capace di determinare le migliori strategie di cura e a formulare diagnosi precise.

La Medicina Narrativa serve proprio a questo: a rinforzare l’alleanza fra la persona e il clinico perché la terapia sia integrata nel vissuto.

Abbiamo chiesto alla Dottoressa Piana perché e come la medicina narrativa può essere utile per chi convive con il diabete, soprattutto il T1 e lei ci ha risposto:

“Dal punto di vista narrativo la malattia, il diabete tipo 1 nel nostro caso, non è soltanto una disfunzione biologica ma rappresenta una vera e propria rottura biografica, che determina un prima e un dopo, che manda in pezzi la propria trama esistenziale così come i precedenti equilibri (emotivi, psicologici, relazionali, sociali) e chiede di trovare un nuovo adattamento alla condizione imposta dalla malattia.

E dove la cura non passa soltanto dai farmaci e dalle terapie, ma anche e prima di tutto dalle parole, dalla possibilità di raccontare quanto vissuto, di usare le parole per ricomporre i cocci del proprio sé e costruire nuove trame narrative, una nuova narrazione di sé che sappia dare senso all’esperienza della malattia, che sappia trovare nuove parole per ricomporre e ricucire quanto la malattia ha mandato in frantumi. Che sappia di nuovo dare forma a un futuro. È questa la massima espressione della resilienza. In questa prospettiva, raccontare e scrivere di sé sono potenti strumenti educativi e di cura di sé:

• per mettersi in ascolto e in contatto con il proprio dolore e potergli dare voce e forma (uscendo dal caos emotivo e cognitivo in cui la malattia ci porta);
• per trovare un proprio senso a quanto accaduto e riposizionarsi rispetto a sé, agli altri, alla malattia, alla vita;
• per condividere con altri e sentire che non si è soli, uscendo dall’isolamento e dalla solitudine che spesso la malattia porta con sé;
• come strumenti di comprensione e formazione per gli altri – familiari, amici, società, operatori sanitari. Da un lato per elaborare la propria parte nella storia di malattia dell’altro; dall’altro per comprendere cosa si prova a vivere l’esperienza della malattia e cosa si può fare, ognuno con il proprio ruolo, per restare accanto all’altro in maniera autentica ed efficace.”

Come si sviluppano i percorsi di “Medicina Narrativa”?

La Medicina Narrativa appare quindi come uno strumento importante sia per i pazienti che per il personale che li prende in carico. Per questo, abbiamo chiesto alla Dottoressa Natalia Piana come si “mette in pratica” il suo sapere e come si declina la sua professione in ambito sanitario.

“Propongo questo approccio sia come strumento di formazione per gli operatori sanitari, sia come strumento di cura per i pazienti. In entrambi i casi, si parte dalla propria storia, dall’esplorazione del proprio mondo interiore per far emergere vissuti, emozioni, esperienze, rappresentazioni; per creare consapevolezza di sé, così come vicinanza e comprensione dell’altro. Per far sì che sia l’esperienza personale a generare apprendimento, cambiamento, crescita.

Parole, immagini, musica, scrittura, cinema, arte rappresentano gli strumenti attraverso cui accompagno le persone a raccontare di sé e a dare forma alla propria storia.

Si lavora sulla capacità di mettersi in ascolto di sé e dell’altro, sulla capacità di comprensione dell’altro, dei suoi problemi, dei suoi bisogni per identificare la risposta di cura più adeguata. Questo significa umanizzare e personalizzare la cura, integrare sguardi, approcci e competenze per riuscire a far fronte alla complessità dell’esperienza di malattia e dell’essere umano e realizzare una pratica medica umana ed efficace”

Il diabete come “grande educatore”

Abbiamo chiesto a Natalia Piana che cosa le avessero lasciato, come insegnamenti, le persone con diabete, e lei ha dichiarato:

“Del diabete in questi anni 20 anni ho imparato che è una metafora perfetta per parlare di vita. E per imparare a “starci dentro” alla vita. Il diabete è un grande educatore perché svela l’essenza stessa – non della malattia – bensì della vita. Aderisce alla vita, ne replica l’andamento. Replica l’esserci sempre, il non potersi sottrarre. Replica della vita la non linearità, gli squilibri, le contraddizioni e le antinomie. Le piccole grandi morti e le rinascite. Le salite e le discese. Le vittorie e i fallimenti. La dimensione del tempo. Che cambia, evolve, si trasforma, regredisce, diviene. Il diabete svela e mette a nudo ogni giorno il nostro essere, le nostre modalità di stare al mondo e affrontare (o meno) le difficoltà.

Il diabete educa alla vita. Nel metterci di fronte alle difficoltà, nel tirare fuori la nostra forza, il coraggio, la costanza, la determinazione. Il senso di responsabilità. Nel metterci in contatto con il senso e il valore del limite e delle possibilità. Il valore delle persone. Ma ancora prima il nostro valore. Il valore di noi come persone. Il diabete ci insegna a metterci al centro. Dei pensieri. Delle attenzioni. Della cura. A non sfuggire a noi stessi.

Il Diabete è come un viaggio dantesco che parte dagli inferi, attraversa il purgatorio e trova tanti paradisi. E dove la vera conquista, il senso stesso del viaggio, come ci insegna Ulisse, è nel percorso più che nella meta, in tutto ciò che diventa esperienza, conoscenza, divenire, crescita.

E quando il dolore non è comunicabile o giace ibernato come un blocco dentro di noi, essere educatori significa accompagnare l’altro nella rivisitazione sofferta di quel dolore, assumendo su di sé il carico che l’altro non può portare da solo. Perché ricordare, è l’unica via per poter dimenticare e superare.

In questi 20 anni ho imparato che prima ancora del diabete, è nostro dovere curare l’ignoranza sul diabete. Tutti. A vario titolo. Persone con il diabete, famigliari, associazioni, professionisti, istituzioni. Educare al diabete. Con azioni mirate, concrete, efficaci. Per creare una cultura del diabete che renda possibile un contesto di vita sociale migliore per chi ha il diabete. La qualità della vita può cambiare anche la qualità della gestione e della cura della malattia. Così come la possibilità di condividere, che per me rappresenta una vera e propria terapia, da prescrivere insieme all’insulina, la corretta alimentazione, l’attività fisica.

E poi ho capito che prendendomi cura degli altri mi sono presa cura di me. Nei vuoti, nei dolori, nelle sofferenze dell’altro ho riconosciuto le mie. E nella cura dell’altro ho trovato il mio senso.”

Una nuova trama

Harmonium Pharma, in collaborazione con AAGD Lombardia, ha organizzato tre appuntamenti dedicati alle famiglie dei bambini e ragazzi che si trovano a gestire un esordio recente.

Il ciclo di incontri si chiama “Una nuova trama. Una cassetta degli attrezzi per tessere storie di cura. Ago e filo per rammendare le ferite. Colore, per ricamare nuove trame di vita”.

Gli incontri sono condotti dalla Dottoressa Natalia Piana. Interviene anche la Dottoressa Maddalena Macedoni, diabetologa dell’Ospedale dei Bambini Vittore Buzzi di Milano.

Gli appuntamenti si terranno nell’Aula Magna dell’Ospedale Vittore Buzzi di Milano e sono fissati nelle giornate:

12 novembre | 10.00 – 12. 30
26 novembre | 10.00 – 12.30
1 dicembre | 18.30 – 20.30

Per info e iscrizioni:
aa***********@gm***.com | in**@ha**************.com